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Trinità

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18/05/2011 18:18

Filippesi 2:6-11
"Forma di Dio" e uguaglianza con Dio:

Filippesi 2:6 in greco suona più o meno così:

"Che in forma di Dio esistente non rapina reputò l’ essere uguale a Dio"

Una delle parole chiavi è harpagmos che può assumere due significati:

Alcuni interpretano ἁρπαγμός come res retinenda, cioè come tesoro da trattenere gelosamente, mentre altri traducono ἁρπαγμός come res rapienda, cioè come bottino o preda da afferrare con violenza.

Esaminiamo cinque versioni che fanno da base a centinaia di traduzioni parallele che si appoggiano ad esse:

1) (La Bibbia di Gerusalemme, testo CEI del ‘74) "Il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;"

(La Bibbia di Gerusalemme, testo CEI 2008) "Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio"

nota degli editori:

2,6-8 Gesù Cristo, in forza della sua originaria uguaglianza con Dio, avrebbe potuto rivendicare un’esistenza umana gloriosa. Ha scelto, invece, di condividere la condizione umana restando, nella umiliazione della morte, fedele a Dio.

I traduttori della Bibbia di Gerusalemme hanno interpretato "essere nella morphê di Dio" come l'avere la natura\essere nella condizione di Dio, a tal proposito ci sono diverse teorie che invito a leggere, basta fare una seria ricerca sulla parola morphê e sui suoi significati in epoca neotestamentaria, alcuni esempi:

[Friberg lexicon] morfè,, h/j, h` (1) form, external appearance; generally, as can be discerned through the natural senses (MK 16.12); (2) of the nature of something, used of Christ's contrasting modes of being in his preexistent and human states form, nature (PH 2.6, 7)

[UBS] morfè,, h/j f nature, form

Comunque in base a tale versione, Cristo per natura Dio, non ritenne come un tesoro geloso questa sua uguaglianza col Padre.

Personalmente accetto meglio la traduzione "di natura divina" rispetto alla letterale "essere nella forma di Dio" perché sembrerebbe che mentre Gesù si faceva Uomo, sia rimasto un qualche suo abito/forma dismesso dalle parti di Dio Padre...

Gesù assunse la forma di uomo, ma lasciò la forma di Dio?
NO, e infatti non c’è scritto, ecco perché lo scrittore usa “manifestare”. Dio è là dov’ è (cioè “è” e basta, perché non ha un luogo o uno spazio) e invece nello spazio/tempo Dio “si manifesta”, cioè diventa agli occhi dell'uomo visibile, o meglio, percepibile.
A proposito di morphê un mio dotto amico scrisse:
"Io non capisco proprio come si possa anche solo pensare che morphê in quel contesto sia la forma esteriore, anche perché c'è subito dopo una contrapposizione tra l'essere "in forma di Dio" e l'assumere la condizione di servo. E poi, che forma esteriore potrebbe mai avere Dio? Come gli si può attribuire una forma che lo circoscriva o un aspetto? Non ha confini, non ha un esterno che lo delimiti e che gli dia una “forma” nel senso moderno del termine.
Morphê in greco ellenistico e nelle discussioni di natura filosofico-teologica è sinonimo di eidos, cioè indica la struttura interna di qualcosa. Il riferimento ovvio è ad Aristotele. Chiunque abbia dei ricordi anche solo liceali di storia del pensiero ellenistico sa benissimo che cosa si intenda con questo termine dopo Aristotele. Ovviamente qui non si tratta di cadere nella trappola “filosofia e anti-filosofia”, come se volessimo affermare che Paolo sia stato aristotelico, ma di dire che nel lessico usato per le questioni di teologia, a causa dell’influsso della scuola aristotelica, in greco ellenistico la morphê di qualcosa è l’eidos di qualcosa, la struttura organizzatrice interna che si riflette ANCHE all’esterno."
A proposito di questo commento, il grande biblista R. Bultmann scrive:




Di parere simile è il Anche il Gillièron (LTB, 92) il quale dice:
«Nell’inno di Fil 2,6-11, uno dei più antichi testi cristiani conosciuti, Cristo viene presentato come spogliatosi della forma di Dio che era la sua, per assumere la forma di servo (Fil 2,6s); il significato della parola forma dipende dall’interpretazione che si dà dell’inno; se si vede il destino del Cristo preesistente poi incarnato, la parola indica l’essere, l’essenza, la natura di Cristo = il Cristo era dinatura divina, ed ha assunto la natura umana; se si vede, più probabilmente, la rinuncia fatta da Gesù, nel corso del suo ministero, ad ogni trionfalismo messianico, la parola allora indica il suo modo di esistenza, la sua condizione = pur potendo pretendere di essere uguale a Dio, Cristo ha deciso di comportarsi come un servo che ha ubbidito fino alla morte»

Emmanuele Testa, ofm della Pontificia Università Urbaniana, nel suo "UN INNO PREPAOLINO DELLA CATECHESI PRIMITIVA" a pag. 108 che riprende quanto scritto da A. Feuillet, (“L’Homme-Dieu considéré dans sa condition terrestre de Serviteur et de Rédempteur (Phil. 2,5ss. et textes parallèles)”, RB 51 (1942) 58-79)scrive:

"E’ soprattutto nella teologia che si avverte il contrasto tra l’inno arcaico di Fil 2,6-11 e Paolo. Prima di tutto per i sensi contrastanti dei due termini morphë e schëma. Al primo va dato il senso di ousia, essenza, natura divina, dato che la divinità è senza figura e senza forma esteriore, sicché Gesù Cristo, prima della incarnazione esistette nella natura divina (en morphë Theou, v. 6). Invece al secondo termine, schëma, si deve dare il senso di esistenza umile, perfettamente sottomessa al piano di Dio, una maniera d’essere più superficiale e passeggera (Rm 12,2; Fil 3,21, cf. Lightfoot).
Perciò annichilandosi nella forma di schiavo non vuole indicare che il Cristo preesistente si sia fatto uomo, ma che ha incominciato ad esistere nella condizione umana (en… schëmati… hös anthröpos, v. 7d)"


Questa impostazione contribuisce notevolmente anche alla comprensione, o meglio al tentativo di comprensione, della Trinità: Dio è uno, nella sua natura in quanto è fuori dello spazio-tempo, ma le tre ipostasi che lo compongono sono evidenti nelle loro manifestazioni nello spazio/tempo nelle quali vengono rivelate le personalità di ognuna delle singole persone divine (in questo contesto quella del figlio).

La Sacra Bibbia di mons. Garofalo in 3 volumi aggiunge al riguardo:
«Il senso, in sostanza, è che Cristo non tenne o non aspirò alle prerogative divine (uguaglianza con Dio) alle quali aveva pure diritto in forza della sua natura. Naturalmente si tratta di rinuncia a manifestarle all’esterno»

Don Giancarlo Apostoli approfondisce il senso esposto da Garofalo in questo modo:
"Si può parafrasare così il senso del testo greco:
«Benché (una volta incarnato) egli continuasse ad essere Dio come il Padre, non volle affatto far valere (durante la sua vita in terra) questa sua pari deità col Padre a proprio vantaggio, quantunque si trattasse di cosa legittimamente sua, ma vi rinunzio spontaneamente. Anzi, ciò che egli era, lo lasciò nascosto, scegliendo di essere servo»

2)(LND) filippesi 2:6 "il quale, essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l'essere uguale a Dio"

Gesù possedeva di suo l'uguaglianza con Dio, ma questo non gli impedì di lasciare questa posizione per farsi uomo, non rimase legato al suo diritto naturale di essere Dio, ma rinunciò a questa unica prerogativa divenendo anche uomo.

3)(Di) “Il quale, essendo in forma di Dio, non reputò rapina l’essere uguale a Dio”.

l'essere uguale a Dio, non era per Gesù una rapina (quindi era una cosa normale per lui).

4)(Con) “il quale, pur essendo in forma di Dio, non ritenne come cosa da far propria avidamente l’essere uguale a Dio”.

In questo caso "essere uguale a Dio" ricopre il ruolo proprio del padre, da non raggiungere avidamente, ma comunque da poter raggiungere umilmente, come mostrato in seguito divenendo egli "il Signore di tutti".

5)(Tnm) "il quale, benché esistesse nella forma di Dio, non prese in considerazione una rapina, cioè che dovesse essere uguale a Dio".

A parte le numerosi ed evidenti aggiunte di parole rispetto al testo greco (in rosso) atte ad avvicinare il più possibile questa scrittura alla teologia dei tdg, anche in questa versione (unica in quanto non ne ho trovate di uguali) Cristo avrebbe potuto rapinare il diventare uguale a Dio, ovvero rapinare il ruolo proprio del padre, l'ingenito e la causa prima del figlio e dello Spirito santo, quindi la possibilità di poter eguagliare il padre esisteva, ed una creatura, anche la più eccelsa e prima, non avrebbe potuto ambire a tanto se non fosse stata la sua natura uguale a quella del padre, gli sarebbe stato impossibile per la sua costituzione, per una creatura questo sarebbe stato irraggiungibile e inimmaginabile, come se un animale potesse "rapinare" l'uguaglianza con l'uomo o l'uomo rapinare l'uguaglianza con un angelo, sarebbe impossibile, mentre sarebbe possibile per un figlio di un re, usurpare il trono del re suo padre, perchè parliamo di due esseri identici in natura (due esseri umani).

Giancarlo apostoli commenta questo pensiero con le seguenti parole:
“Di fatto, il punto di vista anti-trinitario tipico dei TdG loda Cristo perché rimase solo entro i limiti di un essere creato. A ben guardare però non sembra esserci molto da lodare in una creatura (umana o angelica) che rinunci ad un colpo di mano per spodestare Dio e per prenderne il posto. Se Cristo si fosse limitato a non tentar di divenire uguale a Dio, non saremmo di fronte ad un caso di umiltà ma ad un semplice esempio di onestà intellettuale, di equilibrio mentale e di senso della misura. Vero esempio di umiltà (giustamente lodato da Paolo) è dato dal fatto che realmente Cristo, pur essendo Dio, si sia spogliato delle proprie prerogative divine per assumere forma di servo e natura umana, il tutto ....al solo fine di salvarci.”

A proposito di questa interpretazione è utile leggere quanto scritto dal professor Dennis Ray Burk, Jr:

http://www.bible.org/page.asp?page_id=1792

"Propongo che se l'autore avesse inteso mettere sullo stesso piano le due frasi avrebbe potuto semplicemente dichiarare "benche' egli esistesse nella forma di Dio, egli non riguardo' essere nella forma di Dio come una cosa da essere afferrata". Tuttavia, il solo fatto che l'autore scelga di usare una fraseologia differente indica che egli desidera denotare realta' differenti, non quelle sinonime (o equivalenti). La questione si presenta allora in quanto a come questa frase possa essere teologicamente intellegibile; come puo' questa interpretazione avere senso dato che (morfè theou) si riferisce alla essenza preesistente di Cristo come divinita'? Non dovrebbe l'uguaglianza di Cristo con Dio (ton einai isa theon) essere considerata solo un'altro modo di riferirsi alla sua essenza preesistente come divinita'? La risposta all'ultima questione e' "NO" se noi consideriamo la possibilita' che "forma di Dio" si riferisce all'essenza, mentre "essere uguale a Dio" si riferisce alla funzione. Se questo e' il significato del testo, allora le due frasi non sono sinonime: benche' il Cristo fosse una vera divinita', egli non usurpo' il ruolo del Padre. Se HARPAGMOS sia capito stando all'analisi di cui sopra, allora Cristo si dice non aver rapito(rubato) o afferrato l'uguaglianza con Dio.
Benche' egli stesso fosse una vera divinita' eistente nella forma di Dio, non tento' di afferrare quest'altro aspetto che lui stesso non possedeva - cioe' l'uguaglianza con Dio (il padre).
Al contrario, Cristo svuoto' se' stesso. Questo svuotamento consistette nel prendere la forma di un umile servo e nel farsi a somiglianza di uomo. Percio' il contrasto tra i versi 6 e 7 si fa molto chiaro. Cristo, la seconda persona della trinita', non tento' di rapire/rubare il ruolo proprio della prima persona della Trinita', al contrario, Cristo abbraccio' quei doveri che erano stabiliti per la seconda persona, prendere la forma di un servo e rendersi a somiglianza di uomo...
Credo che questa interpretazione apra per noi la strada per vedere una ortodossa subordinazione del figlio nei confronti di DIO Padre. Benché il Padre e il Figlio siano uno nella loro essenza (che e' esistere entrambi nella forma di Dio), essi sono distinti nelle loro persone. In accordo al piano predeterminato del Padre, egli invia il Figlio nel mondo come un uomo e come un servo. Il Figlio non prova ad abdicare il suo ruolo afferrando uguaglianza funzionale con il Padre. Al contrario, il Figlio ubbidisce al Padre ed entra nella storia umana. In questa sequenza di eventi,vediamo che il Figlio non solo obbedisce al Padre nella sua incarnazione ma anche che egli obbedisce al Padre da tutta l'eternità'. Per questo motivo, se il Figlio non fosse obbediente al Padre e se non fosse distinto dal Padre nella sua persona (e perciò nel suo ruolo e funzione), allora la redenzione sarebbe stata impossibile, il Figlio mai avrebbe obbedito al Padre e non ci sarebbe mai stata una incarnazione...
Proprio come il Padre e il Figlio sono uno in essenza (ossia, sono entrambi divinità) ma distinti nelle loro Persone, così c'e' una realtà corrispondente nelle relazioni terrene fra uomini e donne. Per esempio, sebbene si ordini alle mogli di mantenere un ruolo di obbedienza ai loro mariti (1 Pietro 3:1), mariti e mogli redenti sono uno nella loro posizione davanti a Dio; sono eredi simili della grazia di vita (1 Pietro 3:7). Non c'e' qui ineguaglianza essenziale, ma solo una funzionale. In questa comprensione'uomo non e' superiore in valore o significato su sua moglie, più che il Padre lo sia su Cristo. Al contrario, il mantenimento dei ruoli stabiliti da Dio e'in fin dei conti una cosa molto gloriosa (Filippesi 2:11)"


Quindi tenendo bene in mente il concetto dei ruoli delle persone trinitarie, fermo restando che non è certo messa in dubbio la deità del figlio chiarita poco prima: "in forma di Dio esisteva":

"essendo per natura Dio" IBE, NVP, NIV
benché fosse chiaramente Dio BLM
benché lui era Dio GL, LB
sussistendo in natura di Dio RI
era come Dio TILC
essendo di natura divina CEI, GCC, BG
di condizione divina TOB

l'uguaglianza che egli non ambì a rapinare era il ruolo proprio del padre, unica fonte del figlio e dello Spirito Santo.

Ricapitolando harpagmos può essere interpretato nelle seguenti maniere:

1) Senso attivo, «non reputò un furto, una usurpazione, una rapina» il suo essere come Dio,
appunto perché ne era in legittimo possesso; così i padri latini;

2) Senso passivo in diverse sfumature:

a) cosa rubata – quindi da custodire gelosamente, da non cedere;

b) cosa da rubarsi – con idea di violenza e di usurpazione, come avvenne da parte di Adamo;

c) cosa da conservarsi (senza nessuna idea di ingiusto possesso), nel senso lato di “prendere per se, usufruire, usare a proprio vantaggio”.

I testimoni obiettano che avendolo il Padre "sovranamente innalzato" cosa poteva dargli più di quello che aveva prima di incarnarsi, se egli era già Dio come lui?
A questa domanda lascio rispondere Robertson nel suo commentario:
«Qui soltanto nel N.T. a causa dell'umiliazione volontaria del Cristo, Dio lo ha innalzato al di sopra o oltre la condizione di gloria che ha goduto prima dell'incarnazione. Che gloria Cristo ha dopo l'Ascensione che non ha avuto prima in cielo? Cosa ha ripreso in cielo che lui non abbia portato? Chiaramente la sua umanità. È "ritornato al cielo" il Figlio dell'Uomo come pure il Figlio di Dio» - Robertson's Word Pictures of the New T. link:

http://www.biblestudytools.com/Commentaries/RobertsonsWordPictures/rwp.cgi?book=php&chapter=002&verse=009&next=010&prev=008


Un'altra obiezione che fanno i TdG riguarda l'esempio di umiltà menzionato da Paolo prima dell'inno e ci chiedono che umiltà manifestò Cristo se egli era già uguale a Dio?
La risposta è già stata data, egli avrebbe potuto rimanere nella sua condizione di vero Dio, ma scelse di svuotarsi di questa unica posizione per farsi anche uomo e in questo stato decise di non avvalersi del suo essere anche Dio per proprio tornaconto personale, non è questa umiltà?
Se egli fosse stato invece una creatura, cosa ci sarebbe stato di così eccezionale nel “non voler rapinare il farsi uguale a Dio”?
Avrebbe potuto mai una creatura diventare "uguale a Dio"? Uguale al suo creatore?

Volevo concludere con le scansioni dal libro "L'uso di Fil 2,6-11 nella cristologia contemporanea (1965-1993)" di Nunzio Capizzi dove riassume l'esegesi della parte finale dell'inno in questione per quanto riguarda l'esaltazione del Figlio con "il nome che è al di sopra di ogni altro nome" sul cosmo e cosa implica tale esaltazione per quanto riguarda la sua deità:











L'autore conclude in questo modo parlando della divinità del Figlio:





[Modificato da (Mario70) 01/10/2014 19:43]
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