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Trinità

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18/05/2011 18:25

Romani 9:5 e duplice natura del figlio

Duplice natura del figlio:

Nel IV secolo i cristiani si posero delle domande su come doveva essere fatto il salvatore, per poter realizzare la salvezza:

1) Se il male è nella carne come asserivano gli gnostici, la salvezza doveva riguardare la liberazione dalla carne, quindi il salvatore doveva essere fatto di spirito e di anima.

2) Se la salvezza è della carne, come asserivano gli ortodossi, il peccato riguardava cioè la defettibilità e la scelta del male, allora il salvatore doveva essere di spirito, anima e corpo.

Tra queste due posizioni vi erano quelle di:

1) Apollinare di Laodicea il quale credeva che Cristo era composto dallo spirito divino e dalla carne
2) Cirillo Alessandrino il quale credeva che il Cristo era composto di spirito o logos unito ipostaticamente e fisicamente alla carne
3) Nestorio il quale credeva che il logos fosse congiunto moralmente con l’umanità assunta, egli era infatti convinto che esistessero due persone separate nel Cristo incarnato, l'uno Divino e l'altro umano, cioè le due nature erano solo congiunte, mentre negò che ci fosse una unione ipostatica fra le due nature, come affermato dalla scuola alessandrina.
4) Eutiche il quale negava l'attribuzione a Cristo della natura umana, sostenendo che egli avesse solo quella divina: secondo la sua dottrina prima dell'incarnazione il Figlio aveva due nature, con l'incarnazione invece la natura umana di Gesù fu assorbita da quella divina.

Insomma bisognava far chiarezza e a questo scopo si tenne il concilio di Calcedonia.

Sappiamo bene che con il concilio di Calcedonia (451 D.C.) venne a definirsi la duplice natura del figlio, ovvero mentre egli era sulla terra come uomo, "Dio il figlio" non perse la sua immutabilità come Dio:

"Seguendo, quindi, i santi Padri, all'unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio: il signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e del corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l'umanità, uno e medesimo Cristo signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, verbo e signore Gesù Cristo, come prima i profeti e poi lo stesso Gesù Cristo ci hanno insegnato di lui, e come ci ha trasmesso il simbolo dei padri."


Abbiamo quindi letto che la natura divina del figlio partecipava in quella umana, senza per questo mescolarsi con essa, ma rimangono intatte le rispettive qualità delle due nature.
Ricordiamo però i limiti che la natura umana del Cristo, "identica alla nostra fuorché nel peccato", aveva per essere appunto circoscritta allo spazio e al tempo come noi, in "incarnazione e umanità di Dio" il Dott. Mazza afferma:

"In questo senso, durante la vita terrena del Cristo, accade che alcune proprietà divine non sono accessibili alla natura umana: non vengono rimosse, non vengono disattivate temporaneamente, ma sono semplicemente inaccessibili. Esiste dunque una sorta di asimmetria di accesso alle facoltà divino-umane: mentre la natura divina ha pieno accesso alle facoltà umane, la natura umana non lo ha in rapporto a quelle divine. Sostanzialmente la natura divina non subisce alcuna restrizione, è solo la natura umana ad averne, costitutivamente".

Per questo motivo Giovanni poté dire:

Giovanni 1:14 " E il Verbo si fece carne e dimorò fra noi e abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre"

Non si dice "fu fatto carne" come se il padre solo avesse questa prerogativa, ma disse "si fece carne" quindi fu il figlio eterno ad assumere anche tale natura, rimanendo intatta e immutabile la sua natura divina celeste, cercherò di essere più chiaro: dicendo che si fece carne, significa che doveva rimanere intatto quel che era, altrimenti non avrebbe potuto farsi carne, non so se riuscite a comprendere dove voglio arrivare.
Se egli come pensano alcuni, smise di essere quello che era, (l'arcangelo Michele in cielo) non poteva certo assumere l'umanità, in quanto come arcangelo non esisteva più, ed avrebbe avuto bisogno di qualcuno che lo facesse divenire uomo, mentre questa e altre scritture (che elencherò tra poco) mostrano che fu il figlio stesso a divenire uomo.

Tornando al versetto 14, ritorna qui il soggetto espresso al v. 1, il Verbo.
Le affermazioni dei vv. 1 e 14 sono parallele e contrapposte: - carne: definisce l'uomo nella sua condizione di debolezza e di destino mortale; ciò che non avrebbe detto, in termini biblici, la parola « uomo «.
È quindi intenzionalmente evidenziato il contrasto tra il Logos del versetto 1 (nella sua condizione divina) e la carne del verso 14 (nella sua condizione umana). - "si fece": traduzione migliore rispetto a « divenne », perché non avvenne una trasformazione, ma, rimanendo il Logos che era, cominciò a vivere nella sua nuova condizione debole e temporale.
"e dimorò fra noi": il verbo greco eschenosen che arieggia il verbo ebraico skn (= abitare), può significare sia «dimorare» che « porre la propria tenda », allusione alla dimora di Dio in mezzo al suo popolo, collegata con l'arca santa e la gloria. La gloria in particolare è anche qui subito riferita all'abitazione del Verbo. Va ricordato che anche della sapienza viene detto che prende dimora in mezzo agli uomini (Sir '4,8) e come sappiamo per Filone il logos era proprio questa gloria di Dio.

Giovanni 1:18 "Dio nessuno l'ha visto mai. L'Unigenito Dio, che è nel seno del Padre, egli lo ha rivelato"

L'unico Dio generato, il solo ad avere la stessa natura del padre, mentre era sulla terra come uomo, esisteva in cielo come Dio, accanto a Dio padre, infatti si usa il presente: "che è nel seno del padre" non si usa ne il passato "che era" ne il futuro "che sarà".
Dio si è rivelato (nota l'aoristo storico) nella persona del Verbo Incarnato ovvero l'unigenito Dio "che lo ha rivelato".

1 Giovanni 3:5; " 5 Voi sapete che egli si è manifestato per togliere i peccati, e in lui non vi è peccato."

Giovanni 3:13 " Nessuno è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo, che è in cielo."

(Ricordo che l'ultima parte "che è in cielo" manca in autorevoli manoscritti di matrice alessandrina, ma è presente in quelli occidentali e bizantini)

IEP 1 Giovanni 1:2 poiché la vita si è manifestata e noi l'abbiamo veduta e ne diamo testimonianza e vi annunziamo questa vita eterna che era presso il Padre e che si è manifestata a noi"

Anche queste scritture dicono chiaramente che fu il figlio a scendere dal cielo, a manifestarsi, dice inoltre (secondo la maggioranza dei manoscritti autorevoli) che benché fosse "sceso dal cielo" continuava comunque ad essere "nel cielo".

Romani 9:5

IEP Romani 9:5 "da loro proviene Cristo secondo la sua natura umana, egli che domina tutto, è Dio, benedetto nei secoli, amen! "

Ecco quanto è chiaro: uomo e Dio insieme, la stragrande maggioranza delle traduzioni ha interpretato il passo in questa maniera e i Padri della chiesa lo confermano, tra i molti intendono “Dio” come attributo di Cristo:
Ippolito, Tertulliano, Cipriano, Atanasio, Noviano, Ieromo, Basilio, Agostino, Novaziano, Didimo, Gregorio di Nissa, Giovanni Damasceno, Epifanio di Salamina, Teodoro, Eulogo, Teofilo, Teodoreto, Cassiano, Fulgenzio.
È interessante notare inoltre come suonava questa scrittura all'uditorio greco: "... ho on epi pantôn Theos euloghêtos" che tradotto alla lettera vuol dire "l'essente [colui che è] sopra tutto Dio benedetto"

Avete letto bene, nelle traduzioni italiane si perde il senso e la forma, ma chi conosce la LXX sa benissimo che l' "Ho on" è il nome di Dio ovvero "colui che è", e qui è usato nei riguardi del Figlio, specificando che è appunto il "Dio benedetto".
La TNM e poche altre (anche autorevoli) hanno messo un punto prima di "Dio benedetto", facendo perdere il senso proprio del versetto e facendo apparire "Dio benedetto nei secoli" un inno al Padre; ma in questo modo si spezza il contesto, si sta parlando di Cristo e fermare il versetto per inneggiare improvvisamente il Padre non è logico, il rasoio di Ockham ("la soluzione più semplice è la più probabile") ci fa propendere per la soluzione più semplice che è la prima, quella adottata anche dai Padri della chiesa sopramenzionati, i quali, spesso madrelingua, conoscevano il greco meglio di qualunque traduttore moderno o che si improvvisa tale.
Ma esiste una prova ancora più schiacciante che quelle parole venissero attribuite al Figlio e non al Padre, ed è l'opinione degli ariani stessi. Agostino nel "De Trinitate" (scritto appunto contro la loro eresia) libro II, 13:23 scrive:

"...Ora se non solamente il Padre è Dio, come lo riconoscono anche tutti gli eretici, se è Dio anche il Figlio, come essi debbono ammettere, sia pur contro voglia, in forza delle parole dell’Apostolo: Egli è al di sopra di tutte le cose, Dio benedetto nei secoli".
Se ci fosse stata la possibilità che quel passo potesse essere interrotto applicando il titolo "Dio benedetto" al solo Padre, credete che gli ariani non ne avrebbero approfittato?

Vorrei ricordare infine ai TdG che il testo base di Westcott-Hort sul quale dovrebbero aver basato la loro traduzione (e con esso tutti i testi autorevoli che ho consultato tra cui il Nestle/Aland), ha semplicemente una virgola dopo la parola carne e questo è evidente nella loro interlineare, ben diverso dai due punti che hanno usato nella traduzione a lato e quindi nella TNM!
Lo stesso Westcott in "Notes in select readings" nel Nuovo Testamento in questione a pag 110 scrive che "la chiusura tra i due periodi sembra fare un cambiamento di soggetto improbabile".
(Per ulteriori approfondimenti leggere il "A textual commentary on greek New Testament " del grande Bruce Metzger che il nostro amico Enrico ha messo qui:

http://digilander.libero.it/domingo7/ROMANS9.htm

Per una trattazione scientifica del passo si veda anche:

http://www.forananswer.org/Romans/Rom9_5.htm

Il Dizionario di Paolo e delle sue lettere, ed. San Paolo, pp. 368-369 dice:

«Questo versetto introduce la discussione di Paolo sui privilegi di Israele; ma pone un problema esegetico per la punteggiatura. F. C. Burkitt ha detto una volta, con una certa esagerazione, che la punteggiatura di Rm 9,5 è stata probabilmente più discussa di quella di ogni altra frase nella letteratura. Dal momento che nei primi manoscritti greci manca o quasi la punteggiatura, deve supplire il lettore o l’esegeta. Nel caso di Rm 9,5 ne è risultato che il testo è stato letto in vari modi (cfr. Metzger). Si discute se Rm 9,5 debba essere letto «il Messia, che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli» (Messiah, who is over all, God blessed forever, NRSV), o «il Messia, che è Dio sopra ogni cosa, benedetto nei secoli» (Messiah, who is God over all, blessed forever, NRSV in nota), o «il Messia. Possa Dio Altissimo sopra ogni cosa essere benedetto per sempre» (Messiah. May God supreme over all be blessed for ever, NEB). Nell’ultimo caso, 5b diventa una frase separate da 5a, o almeno una clausola separata. Altre versioni sostengono la lettura « che è sopra ogni cosa, dio benedetto per sempre» (per esempio CEI, NV), come qualificazione di Cristo. Sembra che contesto e grammatica favoriscano la lettura delle NRSV o delle note della NRSV.
Rm 9,5a ha l’espressione ho Christos to kata sarka. Come fa notare Metzger, nell’esempio di Rm 1,3-4 e altrove è normale aspettarsi un contrasto quando arriviamo alla frase kata sarka («secondo la carne»). Così in Rm 1,3-4 il contrasto è kata sarka («secondo la carne») e kata pneuma («secondo lo spirito»). Kata sarka in Rm 9,5a è innaturale se chi parla non continua il discorso, dicendo che Cristo è secondo a qualcosa, oltre che «secondo la carne».
In secondo luogo, la frase «egli che è» (ho on) di solito introduce una relativa, e 2Cor 11,31 («lui che è benedetto nei secoli», ho on eulogetos eis tous aionas) fornisce un buon parallelo a Rm 9,5. Come spiega N. Turner (15): «il testo della NEB semplicemente conclude la frase con “Messia” e ricomincia con l’esclamazione “Possa Dio, Altissimo sopra ogni cosa, essere benedetto per sempre!”. Evita così di attribuire la qualità della divinità a Gesù Cristo, ma introduce un asindeto e non c’è una ragione grammaticale per cui un participio che si accorda con “Messia” dovrebbe prima di tutto esserne separato e poi vedersi attribuita la forza di un desiderio, ricevendo come soggetto una persona diversa. Non sarebbe naturale, infatti, separarlo da quanto lo precede».
Metzger nota anche che altrove le dossologie paoline sono sempre unite a qualcosa che le precede; non sono asindetiche (cioè, senza congiunzione). Inoltre, è un modello quasi universale per le dossologie in ebraico e nella LXX «benedetto sia Dio» e non «Dio benedetto», come avremmo qui se si seguisse quella traduzione. Allora è probabile che «Dio benedetto» non esprima un desiderio che Dio sia benedetto nei secoli, ma voglia dire che il Messia, che è Dio, è per natura benedetto nei secoli (ma cfr. Dunn 1988, 528-529. 535-536). Anche le antiche versioni sono a favore della lettura della NRSV. Se ci si chiede perché Paolo in nessun altro luogo chiami così esplicitamente Cristo «Dio», una risposta buona è quella di Metzger: «La ragione per cui nelle lettere di Paolo ci sono così poche affermazioni in relazione alla natura essenziale di Cristo…è senza dubbio connessa con una caratteristica spesso osservata da altri, e cioè che l’apostolo, per motivi di istruzione in relazione all’educazione cristiana, di solito preferisce parlare delle relazioni funzionali, piuttosto che di quelle ontologiche di Cristo».
Concludiamo che in Rm 9,5 Paolo chiama Cristo «Dio», dimostrando così in quale misura l’esperienza del Signore risorto gli abbia fatto modificare o trasformare il suo monoteismo giudaico (cfr. Wright 237). Ciò significa che Paolo aveva una cristologia alta anche prima di utilizzare l’inno a Cristo in Fil 2 (supponendo che Filippesi sia più recente di Romani e che Paolo non abbia già conosciuto l’inno a Cristo prima di scrivere Romani).»


Gesù si resuscita da solo, egli è la vita!

Giovanni 10:17,18 "17 Per questo il Padre mi ama, perché io do la mia vita per riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie, ma io la do da me stesso. Ho il potere di darla e ho il potere di riprenderla. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Giovanni 2:19 "Gesù replicò loro: «Distruggete questo santuario e in tre giorni io lo farò risorgere». 20 Dissero allora i Giudei: «In quarantasei anni fu costruito questo santuario, e tu in tre giorni lo farai risorgere?». 21 Egli però parlava del santuario del suo corpo. "

Gli antitrinitari si scervellano pur di nascondere queste scritture, loro le interpretano alla luce delle altre dove si dice che "fu Dio a resuscitare Gesù"... solo la trinità armonizza entrambe le scritture accettando il fatto che la deità tutta intera (Padre, Figlio e Spirito Santo) resuscitò il Cristo uomo, senza tale armonizzazione si cade nell'eresia, si sceglie cioè la posizione che più fa comodo alla propria teologia.

Atti 3:15 CEI "e avete ucciso l'autore della vita. Ma Dio l'ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni."

La TNM traduce "principale agente della vita" ma questa traduzione è errata e priva di validità scientifica, Cristo è "l'archegon della vita", aprite un dizionario greco e scoprirete che archegon è l'autore, il capo, quindi Cristo è "l'autore della vita" non certo il semplice "mezzo".

IEP 1 Giovanni 1:2 poiché la vita si è manifestata e noi l'abbiamo veduta e ne diamo testimonianza e vi annunziamo questa vita eterna che era presso il Padre e che si è manifestata a noi"

Ma come Gesù è la vita eterna? Ma non è stato creato?

Giovanni 11:25 25 Le disse Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita.

Giovanni 14:6 6 Gli dice Gesù: «Io sono la via e la verità e la vita.

Poteva un arcangelo o un semplice strumento, essere "l'autore della vita" o la vita stessa personificata, la vita eterna?

Per quanto riguarda il discorso delle due nature alcuni obiettano che solo molti secoli dopo venne a concretizzarsi questa dottrina, ma è realmente così?

Pochi anni dopo la morte dell'apostolo Giovanni, il vescovo di Sardi Melitone (era un fautore accanito della pasqua celebrata il quattordici Nisan proprio come i testimoni di Geova) scrisse:

"Ucciso e sepolto in quanto uomo, risorse dai morti in quanto Dio, essendo per natura (physei) Dio e uomo...Il Signore pur essendo Dio, si fece uomo e soffrì per chi soffre, fu prigioniero per il prigioniero, condannato per il colpevole e, sepolto per chi è sepolto, risuscitò dai morti. " (in: "peri pascha" 8)

Per lui Cristo era il creatore e l'alfa e l'omega:
vedi:

http://tinylink.com/?TQLMR3z12R

Ci troviamo nella metà del secondo secolo dopo Cristo, due secoli prima di Nicea e tre secoli prima di Calcedonia, eppure gia si parlava delle due nature di Cristo ad opera di un vescovo importante che morì martire nel 190 D.C.
[Modificato da (Mario70) 18/05/2011 18:27]
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