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Solo Dio mi può redimere?

Ultimo Aggiornamento: 16/10/2011 19:44
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16/10/2011 19:25

"Peccato originale" e redenzione
Punto di vista cattolico:
polymetis:
"Chi ha il potere di una Conciliazione infinita, e di riunire le due sponde della creazione, l'uomo e Dio, se non l'uomo-Dio Gesù? Il cristianesimo scrive che Dio richiedeva un'espiazione, per il peccato originale, e siccome il peccato fu commesso dall'uomo, l'uomo doveva pagare. Ma nel cristianesimo, a differenza delle altre religioni pagane, colui che chiede soddisfazione e colui che la dà sono lo stesso, perché Dio chiedeva soddisfazione, e Dio s'è fatto uomo affinché l'uomo potesse pagare il debito. Dunque quello cristiano è un totale rovesciamento di mentalità, ed è una scuola di amore e di gratuità, perché la parte lesa (dio), si fa parte risarcente... Questo è il paradosso cristiano. E del resto, solo Dio, anzi l'uomo dio, poteva avvicinare l'uomo a Dio, proprio perché era Dio lui stesso, oltre che uomo, e dunque poteva colmare il gap tra i due estremi.
...

Ricapitolazione:

La crocifissione di Cristo di primo acchito pare intrisa di una mitologia sacrificale arcaica, che vede in quella sofferenza la riparazione che un Dio geloso richiede per il torto che gli è stato fatto, il che fa di Dio una sorta di uomo che ha bisogno che gli si risarciscano le offese subite, e non il Dio di perdono che Gesù più volte predica.
Ma questo modo di pensare coglie veramente l’essenza del cristianesimo? Sono d’accordo col dire che la mitologia cruenta del sacrificio sarebbe disdicevole da attribuire all’Essere Supremo, perché fa di Dio qualcuno così turbato dal peccato dell’uomo da dover esigere la morte di un’innocente per saziarlo.
Ma se ben guardiamo, questo sacrificio è ben diverso da qualsiasi altro. Solitamente infatti la parte lesa è diversa dalla parte che risarcisce, da una parte sta colui che sacrifica per propiziarsi i favori e riparare i torti, dall’altra sta chi riceve il sacrificio. Nel cristianesimo la cosa è del tutto diversa. In virtù del dogma trinitario il Figlio non è solo vero uomo, ma anche vero Dio, uno col Padre, anzi lo stesso Dio. Se dunque Cristo è lo stesso Dio che il Padre, allora Dio è sia colui che fu offeso da “Adamo” sia colui che sceglie di risarcire il debito: è Dio stesso che, offeso, assume natura umana per poter risarcire se stesso.

Occorre fare una precisazione dogmatica, che potrebbe mettere in dubbio tutto l’impianto che stiamo discutendo. Sebbene il trinitarismo dica che il Padre e il Figlio siano lo stesso Dio, nega che siano la stessa persona, il che sarebbe l’eresia di Sabellio che non distingueva le persone divine facendo dei Tre mere modalità di manifestazione di un’unica persona. Al contrario il trinitarismo dice “una essentia, tres personae”, vale a dire che Gesù non è il Padre, pur essendo Dio come lui. Parrebbe dunque che Gesù non sia Dio Padre, e dunque, ancora una volta, il risarcente e colui che risarcisce siano due entità diverse. Se così non fosse si cadrebbe nell’eresia patripassianista, che voleva che sulla croce stesse il Padre, e lui stesse avesse patito.
Queste obiezioni, tuttavia, sono inconsistenti, e non occorre diventare sabelliani o patripassiani per sostenere quanto sto dicendo.
Infatti che i Tre siano tre persone non li rende tre sostanze separate (altrimenti sarebbe triteismo), ma solo distinte logicamente in virtù delle relazioni ad intra che intercorrono tra di loro. Ma le operazioni ad extra della Trinità, cioè quelle verso la creazione, il volto che Dio mostra agli uomini, è uno solo. Vale a dire che, sebbene Gesù non sia il Padre, tuttavia sussiste nella medesima sostanza del Padre, ed in definitiva è lo stesso Dio che fu offeso nel giardino dell’Eden .
Che senso ha dunque che Dio risarcisca se stesso? Più che una necessità, pare una lezione di umiltà che il Signore vuole dare agli uomini.
Il peccato dell’uomo è l’egoismo, la prevaricazione, la sopraffazione, mentre Gesù col suo sacrificio vuole mostrarsi fedele alla sua massima in base alla quale non esiste amore più grande che dare la vita per i propri amici. Il riscatto chiesto da Dio, e da Dio stesso pagato: è una scuola di amore per l’umanità, che vede la parte lesa, l’agnello innocente, sacrificarsi per il bene di tutti, e senza pretendere nulla di cambio. Tanto più grande è l’ignominia cui Dio stesso s’è sottoposto per dare l’esempio ai suoi fedeli, tanto maggiore è l’insegnamento di amore e di sacrificio per il prossimo che Egli ha mostrato con questo gesto.
Dio s’è mostrato solidale ed altruista già nella sola incarnazione nella nostra carne, accettando i nostri limiti, la nostra possibilità di morire. Ma non gli è bastato, ha scelto la croce. Perché? Essendo Gesù Dio, tutti i suoi atti hanno per così dire un valore infinito. Per riparare al peccato originale con la sofferenza di Cristo, redentrice della natura umana, sarebbe bastata una lacrima di Gesù nell’Orto degli ulivi, giacché essendo quella una lacrima di Dio, essa aveva un valore infinitamente superiore al torto che voleva risanare. Dio dunque ha scelto di salvarci (di darci una lezione di altruismo) nel modo più atroce possibile, sebbene non necessario, cioè con la croce. Vale a dire che Gesù non è morto tra atroci sofferenze perché ce n’era bisogno, ma perché l’ha voluto Lui stesso. Se ha scelto di morire in quel modo è stato per mostrare la scuola dell’amore, e cioè per ribaltare la logica dell’egoismo umano e insegnare che chi è più grande è colui che serve.

Ma il fatto che il Figlio risorga, annulla forse il valore e il merito dell’insegnamento della croce di Cristo? Pare di no, infatti, il mero fatto di venire fatti risorgere, non annulla il dolore patito lungo l’itinerario. Dunque il fatto che Cristo venga fatto risorgere non rende meno meritoria o meno aspra la sua prova e l’itinerario che ha dovuto percorrere per compierla.
Da ultimo, sebbene Dio possa fare solo il bene, ciò non toglie che possa scegliere tra i beni. Se dunque Dio poteva redimerci con una sola lacrima nell’Orto degli ulivi, per mostrare Dio solidale all’uomo, non è forse eclatante e meritorio che tra le maniere di redimere l’uomo abbia scelto il più terribile modo per trapassare, cioè la croce?"


Franco Coladarci:
"L’uomo in quanto creatura ha contaminato la sua relazione con il suo creatore, decidendo di scegliere per se stesso ciò che è bene e ciò che è male ha usurpato una esclusività del suo Padre celeste, con il suo atto di ribellione a posto fine a quel rapporto tra padre e figlio, il suo peccato verso Dio è un peccato eterno in quanto Dio è eterno, cosicché nessuna creatura ne nei cieli ne sulla terra era in grado di Rin-saldare l’originale rapporto, poiché solo un mediatore “eterno” o per meglio solo un “uomo eterno” poteva cancellare il peccato “eterno”.

Ecco dunque che il Dio Trino a cui si doveva dare soddisfazione(riparazione), da egli stesso soddisfazione incarnandosi nel seno di Maria così che nascendo come uomo “perfetto” poteva soddisfare la giustizia divina, giacché fu un uomo a peccare contro Dio e solo un uomo poté redimere l’uomo davanti a Dio, Gesù Cristo, vero Uomo e vero Dio."
[Modificato da (Mario70) 16/10/2011 19:32]
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16/10/2011 19:27

aggiungo:
Anselmo d'Aosta nel 1098 risponde che se la redenzione fosse compiuta da un mediatore quale un uomo o un angelo, l'uomo rimarrebbe sottomesso a questo mediatore, diventerebbe per sempre servo di uno che non è Dio.
Oltre a questo pensiamo ad un'altra cosa: Incarnandosi Dio stesso ha mostrato il massimo dell'empatia, volendo capire tangibilmente le tentazioni e la sofferenza che inducono spesso l'uomo ad allontanarsi da Dio, diventa lui stesso uomo svuotandosi con la kenosi dell'onniscienza e dell'onnipotenza, "divenendo in tutto simile agli uomini" solo un Dio del genere può sapere e capire esattamente le motivazioni che hanno spinto e spingono l'uomo a sbagliare, l'oggetto ultimo e primo dell'adorazione è Dio, non posso pregare o adorare un Dio che mi conosce solo concettualmente, che non ha nulla a che fare con me, la giustizia uomo x uomo alla "occhio per occhio dente per dente" dei tdg se la possono tenere loro a me un Dio bilanciere non interessa, "la grazia ha sovrabbondato" dice la bibbia, io amo Dio perchè è amore non perchè è giusto e l'amore più grande come disse Cristo è il cedere la propria vita per chi si ama.
[Modificato da (Mario70) 16/10/2011 19:33]
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16/10/2011 19:33

trianello:
La questione può essere affrontata sotto diversi punti di vista. Interessante è, a questo proposito, la citazione che Mario ha fatto di Sant'Anselmo d'Aosta, la quale sottintende un discorso metafisico assai complesso secondo cui l'uomo non può essere veramente libero se non è soggetto a Dio e a lui soltanto (ma qui il discorso si farebbe, appunto, assai complesso).
Il modo più semplice di affrontare la questione è quello di rifarsi ad un approccio di tipo “legale” (che è appunto solo uno degli approcci possibili alla materia, ma è certamente il più intuitivo).
L’umanità, per via del peccato originale, era esclusa dalla visione di Dio. Essa era una massa condannata alla perdizione (massa peditionis, come dice S. Agostino). Dio ha comunque deciso di intervenire per salvare le sue amate creature da questa triste condizione. Certamente, però, Dio non poteva fare come se il peccato non ci fosse: Egli infatti è assoluta verità e l’esistenza del peccato è una verità. Dio avrebbe potuto offrire ad ogni singolo uomo la grazia del pentimento, dando così ad ognuno la possibilità di redimersi. In questo caso, però, il peccato non sarebbe stato adeguatamente riparato. Il peccato, infatti, ha una gravità infinita (sul piano morale), in quanto offesa a Dio, la cui dignità è infinita, mentre le opere buone delle persone umane (nel caso di eventuali opere compiute per riparare al peccato) hanno sempre un valore finito. Pertanto, anche se pentito e desideroso di riparare al peccato, l’uomo non sarebbe mai stato in grado di soddisfare adeguatamente l’offesa fatta a Dio e lo stesso discorso vale per qualsiasi creatura (sia pure la più eccelsa), la quale godrà sempre di una dignità in qualche modo limitata, in quanto essere per partecipazione, rispetto all'essere sussistente che è Dio e che gode di una dignità infinita (e qui rimando al concetto di creazione ed al rapporto tra creatura e Creatore).
Era necessario conciliare misericordia e giustizia. Ecco allora il perché dell’Incarnazione redentrice: il Verbo eterno, assumendo la natura umana, si è fatto solidale con gli uomini e a nome nostro ha offerto a Dio il sacrificio riparatore. Tale sacrificio, in quanto compiuto da uno di noi a nome nostro, appartiene a tutti noi. D’altro canto, essendo stato compiuto dal Verbo, che è Dio, ha quel valore infinito che nessuna opera semplicemente umana avrebbe mai potuto avere.
Con la morte e la resurrezione di Cristo si è realizzata la redenzione dell’umanità ed è stata riaperta per ognuno di noi la strada che conduce alla salvezza.
[Modificato da (Mario70) 16/10/2011 19:33]
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16/10/2011 19:44

Punto di vista ortodosso:

Volevo ricordare la posizione della chiesa ortodossa in merito al peccato, in base alla quale l'uomo non "nasce nel peccato", non credono ad una tara ereditaria che l'uomo si porta dietro dalla nascita, altrimenti non sarebbe realmente libero di scegliere, per chi è interesssato studi quanto segue:

http://digilander.libero.it/ortodossia/PeccatoOriginale.htm

"Potremo fare un esempio che mostra ancor meglio la posizione cristiano-orientale: se mio padre dilapida una notevole eredità, il peccato e la colpa di tale azione sono suoi, non li eredito io che, semmai, eredito il fatto di trovarmi senza un quattrino. Eredito le conseguenze di un peccato e di una colpa, non queste ultime. Dal momento in cui l'umanità (Adamo ed Eva) rompe il rapporto con Dio annulla il cammino verso la sua perfezione. Perciò la teologia patristica ha generalmente visto il peccato originale come una malattia e non ha parlato di un'eredità della colpa, ma solo di un'eredità della corruzione e della morte."

Teodoro studita:
"Un'idea fondamentale che vorrei trasmettere è che non c'è mai stato un tempo umano in cui non esisteva il peccato. Ciò che la teologia occidentale chiama "peccato originale originante" non è altro (nella mia visione) che l'opzione del male che l'uomo possiede in quanto uomo. In altre parole sei uomo in quanto puoi discernere il bene e, eventualmente, decidere di farlo. La scimmia non ha questa opzione, e dunque non è un uomo. Genesi 3 va dunque letta come un mythologoumenon, non come un fatto in qualche modo accaduto all'inizio della storia dell'uomo (così dice il Catechismo della CC!), né tantomeno alla lettera come nell'idea della WT.
Non è il peccato ad essere insito nell'uomo, ma l'opzione. E questa opzione l'ha data proprio il Creatore. Questi, tuttavia, ha dato anche la facoltà del discernimento (tocchiamo qui anche ciò che i cattolici chiamano "morale naturale"), dunque la colpa è sempre personale, di chi scientemente opta per il male.
L'esistenza fisica (quella che conosciamo) si svolge in una "cornice" che ha le sue regole. In queste ore qualcuno sta sperimentando che una di queste regole, cioè la forza di gravità, può fare decine di migliaia di morti. Questo tuttavia non è un male, è solo l'ambito materiale in cui si svolge una fase, piccola ma importante, della nostra vita. Questo mondo così com'è, costituito di fattori naturali e di intrecci di volontà libere (anche di fare il male) è il playground sul quale esercitiamo la nostra umanità e siamo chiamati ad attualizzarla, cioè a divenire fin d'ora icona di Cristo, nostro Archetipo. So che non è facile in una riga afferrare questo concetto ma è di vitale importanza rifletterci su per poter andare avanti. Dio non ha bisogno dell'uomo, dunque nel momento in cui decide di crearlo lo fa con un atto gratuito. Come ogni padre, anche Dio vuole per i suoi figli il meglio, e cosa c'è di meglio che essere come Dio? Il "modello" (archetipo) originario per l'uomo è dunque Gesù Cristo. Tuttavia Dio non vuole creare degli automi o dei pupazzi, perché anche (o sopratutto) la libertà è una condizione irrinunciabile. Dunque serve un terreno in cui questa libertà possa essere esercitata senza condizionamenti. L'uomo, attraverso l'azione dello Spirito che agisce nella Chiesa, ha i mezzi per poter attualizzare questo archetipo e restaurare la sua perfetta santità, oscurata dall'esistenza nel mondo, cioè dai peccati grandi o piccoli che commettiamo. Per farlo, tuttavia, deve vivere in questo mondo, che ha le sue regole, ivi compresa la morte fisica. In generale, mi sembra che attribuiamo una eccessiva importanza alla morte, cosa sulla quale dobbiamo riflettere pensando che siamo chiamati ad un'esistenza eterna. Dunque la morte e le sofferenze sono parte di questa storia ma non sono il centro del quadro, ma solo la cornice.
Io penso che bisogna liberarsi da questa specie di gabbia concettuale dell'espiazione vicaria e capire che la terminologia del NT è semplicemente quella del sacrificio cruento del culto del Tempio, ma che va intesa per ciò che sottende, cioè principalmente per il suo valore iconico. Mi spiego: Gesù Cristo, per la presenza delle sue due nature, è la perfetta immagine di Dio e dell'uomo insieme, e dunque costituisce il naturale culmine di una Rivelazione di Dio iniziata molto prima e a piccoli passi. Il fatto che sia morto è una conseguenza del peccato che ha trovato nel mondo, non un prezzo da pagare (a chi? Si chiedevano i Padri) per un non meglio precisato riscatto. Bisogna andare oltre le parole e contestualizzare gli scritti nel loro ambiente nativo.
[Modificato da (Mario70) 16/10/2011 19:44]
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