00 18/05/2011 18:34
Ebrei 1:1-6
L'Hypostasis non è una parola inventata dai trinitari!

Ebrei 1:1-6:

"3 Egli, che è irradiazione della sua gloria e impronta (o sigillo)della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza".

"Impronta della sua essenza" traduce il greco "charaktêr tês hypostaseôs" ossia "l'impronta di ciò che sta sotto"
(da hypo, «sotto», e stasis, stessa radice di «stare», ovvero il “sostegno”, ”appoggio”, “base”, "fondamento") la natura sub-stanziale di Dio insomma, l'essenza reale di Dio, in poche parole Gesù è parte della sostanza intima della deità, ne è la rappresentazione reale; per capire certi termini bisogna studiare in che contesto si usano. Questa è l'unica volta in cui si usa "hypostasis" nel Nuovo Testamento, e per comprendere cosa avesse avuto in mente l'autore, bisogna esaminare il contesto in cui questa parola veniva usata, studiare quindi come veniva compresa in quel periodo.

Ci troviamo in ambiente medioplatonico (per chi ha ribrezzo della filosofia greca, gli ricordo che era in quell'ambiente che questa parola veniva usata, ed insieme ad essa anche il termine Logos, quindi prendetevela pure con l'autore di Ebrei che la prese in prestito proprio da questa filosofia). Hypostasis è "la generazione gerarchica delle diverse dimensioni della realtà appartenenti alla stessa sostanza divina, la quale crea ogni cosa per emanazione" (Dizionario filosofico in rete :
[url]http://www.riflessioni.it/dizionario_filosofico/ipostasi.htm).

L'hypostasis è "quel che sta sotto" rispetto a ciò che semplicemente appare, è il "fondamento" nascosto di una realtà evidente.
Secondo il futuro Plotino, le tre ipostasi (l'Uno, l'intelletto e l'Anima) stanno infatti a fondamento di tutto l'universo, egli, infatti, considera l’ipostasi un particolare modo d’essere della sostanza e, precisamente, la sostanza nel momento in cui tramite l’irradiazione (altra parola usata guarda caso in questo versetto nei riguardi del Figlio) dà vita al processo produttivo e dunque, diviene “altro” rispetto al principio da cui deriva...

La seconda ipostasi è quella dell’Intelletto, (inteso platonicamente come l’insieme dei modelli eterni delle idee di Dio) generato non creato — per emanazione. L'emanazione avviene per una sorta di auto-contemplazione dell'Uno: nel contemplarsi, l'Uno si sdoppia in un soggetto contemplante e un oggetto contemplato (tutto il mondo platonico delle idee). Stiamo parlando proprio di quello che sarà chiamato nella tradizione Logos, e che vedrà in questo l’emanazione di Dio il suo intelletto, una delle ipostasi di cui era costituito.

Come potete osservare non è certamente un caso che l'autore di Ebrei usò questo termine particolare, l'uditorio greco non aveva dubbi: Cristo era la personificazione dell'emanazione di Dio, la sua ipostasi, appunto, il suo Logos, il suo intelletto, identica sostanza o natura del Padre, ma da lui distinto, in modo paragonabile, sebbene non identico, a quello che sarà l'Intelletto rispetto all'Uno per il successivo Plotino.
Questo discorso è chiarito ad esempio dalla nota che la Sacra Bibbia in 3 volumi di mons. Garofalo (1964) espone in questo punto:

" 3.Il Figlio è eternamente l’immagine perfetta di Dio, del quale ha tutti gli attributi… Fulgore ha senso attivo, ma il termine greco corrispondente potrebbe intendersi al passivo: riflesso o impronta luminosa… Impronta della sostanza suggerisce l’idea dell’uguaglianza perfetta in forza dell’unità di natura. Impronta è, nell’etimologia del termine greco, la riproduzione fedele di un oggetto in materia atta a riceverne l’impressione. Sostanza (nel gr. hypòstasis, cfr. ancora 3,14; 11, I note) assumeva significati assai diversi nella filosofia, nella scienza, nella medicina o nel linguaggio comune.
Qui significa: ciò che sta al fondo dell’essere, ossia l’essenza. Dell’essenza divina il Figlio riproduce in sé l’immagine (in questo caso equivalente di realtà) perfetta. È la dottrina della consustanzialità. Le due espressioni fulgore della gloria e impronta della sostanza si completano a vicenda. Tutt’e due dicono perfetta uguaglianza tra il Padre e il Figlio. La quasi immaterialità della prima immagine inculca l’idea della pura spiritualità dell’essere divino e dell’eterna coesistenza del Figlio col Padre (il raggio è inseparabile dalla sorgente luminosa); mentre la seconda insinua piuttosto la distinzione delle persone: la figura impressa si distingue dal sigillo, che essa ritrae, tuttavia, perfettamente"

A proposito del fatto che Cristo è "l'immagine dell'invisibile Iddio (col 1:15)" Origene nel "de principiis" IV, 4,1 ebbe a dire:
"Se è immagine del Dio invisibile è immagine invisibile. E io oserei aggiungere che in quanto somiglianza del padre, non c'è stato tempo in cui non esisteva... Quando mai non esistette l'immagine della sostanza ineffabile e inesprimibile del padre?"

Tertulliano in Contro Prassea, XIII, 8-10 disse:

"Perciò io non dirò in nessun caso né “dèi” né “signori” (1 Corinzi 8,5), ma seguirò l’apostolo: se il Padre e il Figlio devono essere invocati insieme, io chiamerò il Padre “Dio” e Gesù Cristo “Signore”. Ma Il Cristo da solo lo potrò chiamare Dio, come fa lo stesso apostolo che dice: “Dai quali (padri) viene il Cristo, che è Dio su tutto, benedetto per sempre”(Romani 9,5).
Anche il raggio di sole quando è solo, lo chiamerò “sole”; ma quando dovrò nominare il sole, cui raggio appartiene, non chiamerò più “sole” il raggio. Perché in questo modo farei anche due soli. Tuttavia il sole ed il raggio li conterò come due oggetti e due forme di una sostanza sola e indivisa, allo stesso modo come Dio e la sua Parola, come il Padre e il Figlio. "
Vediamo il testo in questione nel suo contesto:



Cerchiamo di chiarire meglio il concetto di ipostasi con un esempio:
Il nostro corpo siamo noi e il nostro pensiero siamo noi, la somma del nostro corpo e del nostro pensiero siamo noi, ma allo stesso tempo corpo e pensiero non sono la stessa cosa.

La differenza sostanziale però tra noi e Dio è che noi siamo formati da 'parti' (corpo, mente, anima, ecc...) Dio invece è fondamentalmente semplice, quindi le Ipostasi NON sono parti di Dio, ma sono Dio stesso.
Per questo il termine corretto è 'Ipostasi' (= ciò che sta sotto) e non 'Persona', poiché persona deriva dalla parola "phersu " che significa 'maschera' e, anche se questo magari facilita un po’ la comprensione della Trinità è comunque una visione errata di essa perché può condurre ad una idea modalista di Dio (Dio si manifesta a seconda delle epoche con una “maschera” particolare di padre, o di figlio, o di Spirito Santo).

L’autore di Ebrei che ricordiamo non era Paolo ma una persona vissuta nel II secolo, stava citando il libro di Sapienza contenuto nella LXX, traduzione che come sappiamo, usavano tutti i discepoli di Cristo, faceva quindi parte della loro “bibbia”, il fatto che non entrò nel canone ebraico non vuol dire che non venisse considerata ispirata dai cristiani (per gli ebrei nessuno scritto cristiano era ad esempio ispirato) ed infatti entrò a far parte del canone insieme agli altri libri dal IV secolo in poi.

Il canone muratoriano del 150 DC dice a proposito di questo libro:

“Inoltre la lettera di Giuda e due che portano il nome di Giovanni sono usate nella chiesa universale- e (il libro della) Sapienza scritto dagli amici di Salomone in suo onore.”

Quindi la “chiesa universale” nel 150 DC credeva che il libro si sapienza fosse ispirato.

Il testo del libro della Sapienza è contenuto in quattro grandi manoscritti: B (vaticano, IV secolo), S (sinaitico, IV secolo), A (alessandrino, V secolo) e C (il codice di sant’Efrem, V secolo) e in numerosi manoscritti secondari. E fu scritto nella metà del I secolo AC, quindi è molto utile per esaminare quale era il retroterra culturale degli ebrei di lingua greca del periodo che stiamo prendendo in considerazione.

Fatto questo preambolo necessario, cosa dice questo libro a proposito della sapienza di Dio personificata dai cristiani nel figlio di Dio?

È un'emanazione (ατμις = vapore) della potenza di Dio, un effluvio genuino (απορροια) della gloria dell'Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa s'infiltra. È irradiazione (apaugasma)della luce eterna (Wis 7:26 IEP), uno specchio (εσοπτον) senza macchia dell'attività di Dio e un'immagine (εικων = icona) della sua bontà” [Sapienza 7,25-26]

Come si può notare è indubbio che l’autore di Ebrei citasse proprio questo libro ed è evidente che i giudei ellenizzati di lingua greca avevano già visto la sapienza di Dio come una sua emanazione.

Anche il Siracide libro considerato deuterocanonico dai cattolici ma apocrifo dai protestanti, ma che è sempre contenuto nella LXX, parla della sapienza in questo modo:
“Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo e ho ricoperto come nube la terra. Ho posto la mia dimora lassù, il mio trono era su una colonna di nubi.” [Siracide 24,3-4]

Il testimone di Geova vi dirà che il testo parla di "rappresentazione" del "calco" (gr:charakter) e non di identità ontologica tra Dio e il Figlio, una copia non è l'originale risponde il testimone.
Lascio rispondere un mio amico esperto in greco biblico:

"La confusione viene dal fatto che ti sei dimenticato del genitivo che segue a charakter. È verissimo che questo termine viene dal linguaggio delle zecche, ed indica una riproduzione. Quello che i dilettanti come te non possono sapere, perché conoscono il significato delle parole greche solo dai dizionari, e non dall’uso delle parole nella lingua, che non saprebbero leggere, è in che senso charakter sia una riproduzione. E’ una riproduzione non nel senso di un’immagine sbiadita ed imperfetta, perché nel qual caso il greco utilizzerebbe altre espressioni, charakter è la riproduzione nel senso di una riproduzione che è una copia. Ma il punto del tuo fraintendimento è un altro, cioè dimenticare il genitivo che c’è dopo, dove c’è scritto che è la riproduzione “della sostanza”. Vedi, il fatto che la riproduzione dell’imperatore sulla moneta non sia l’imperatore, come tu insipidamente scrivi, si deve al fatto che la moneta copia la superficie esterna dell’imperatore, cioè i suoi lineamenti, traducendola in uno spazio bidimensionale. La riproduzione dell’imperatore in realtà non è una riproduzione dell’imperatore, ma dell’aspetto esterno di un imperatore, cioè dei suoi lineamenti. E mi sembra ovvio che qualsiasi oggetto di cui si riproduce l’esterno, produrrà un’immagine di quell’oggetto, e non l’oggetto stesso, perché ciò che si riproduce di quell’oggetto è solo la sua fisionomia esterna. Un quadro non riproduce un uccello, ma il profilo esterno di un uccello. Invece Ebrei dice che Gesù è la riproduzione dell’ipostasi di Dio, della sua sostanza, di ciò che sta sotto l’apparenza esterna, cioè Cristo è la riproduzione dell’essenza. E la riproduzione dell’essenza non crea un’immagine esterna come nel caso della riproduzione di un qualsiasi oggetto tridimensionale, dove la riproduzione crea solo un calco dell’esterno di quell’ente.
Riprodurre l’essenza di un uccello, la sostanza di un uccello, richiederebbe, se usassimo la tecnica moderna, non di dipingere l’uccello o fotografarlo, perché così facendo non avremmo certo fotografato ciò che sta sotto l’uccello, la sua ipo-stasi, bensì richiederebbe di clonarlo tramite duplicazione del dna, perché è il dna l’essenza di quell’uccello.
L' obiezione che si sente dei TdG quando essi obiettano che questo passo afferma che Gesù è “l’impronta” di Dio e non Dio stesso, la riproduzione di un monte non è il monte stesso, è inconsistente. Ma ben poco hanno capito del testo perché essendo intriso di teologia alessandrina e ci vuole un palato fine…
Il ragionamento dei TdG andrebbe bene se ci fosse la riproduzione di qualunque altra cosa fuorché l’ipostasi. Se infatti stesse scritto “riproduzione della testa” allora l’immagine della testa sarebbe diversa dalla testa in sé, ma qui sta scritto che ad essere riprodotta è l’ipo-stasi, cioè “ciò che sta sotto”, la natura, non dunque un’apparenza esterna che possa essere raffigurata in un dipinto. La natura, la sostanza, non è riproducibile con un’immagine, perché non è la veste esterna bensì la natura interna.
La riproduzione non dell’esterno di qualcosa, ma della “sostanza” di qualcosa, della sua essenza, è per forza identica all’essenza di partenza. L’essenza è ciò che rende qualcosa ciò che è, l’essenza del cane, è il suo essere cane, quindi la riproduzione dell’essenza del cane non è l’immagine di un cane in un dipinto, ma è un altro cane, cioè un altro essere dotato dell’essenza canina.
Non a caso gli esegeti dell’Ecole Biblique commentano giustamente: “irradiazione… impronta della sostanza: queste due metafore desunte dalla teologia alessandrina della sapienza e del Logos (Sap 7, 25-26) esprimono l’identità di natura tra il Padre e il Figlio e nello stesso tempo la distinzione delle persone. Il Figlio è l’“irradiazione” o il riflesso della gloria luminosa (cf. Es 26,14+) del Padre: Lumen de lumine. Ed è l’“impronta” (cf Col 1,15+) della sua sostanza, come l’impronta esatta lasciata da un sigillo (Cf. Gv 14,9)”

Ma continuiamo con Ebrei:

"4 Così è diventato [in greco si può anche rendere con: “poiché è”] di tanto superiore agli angeli, di quanto il nome che ha ereditato è più eccellente del loro. 5 Infatti, a quale degli angeli ha mai detto: «Tu sei mio Figlio, oggi io t'ho generato»? e anche: «Io gli sarò Padre ed egli mi sarà Figlio»? 6 Di nuovo, quando introduce il primogenito nel mondo, dice: «Tutti gli angeli di Dio lo adorino!» 7 E mentre degli angeli dice: «Dei suoi angeli egli fa dei venti, e dei suoi ministri fiamme di fuoco», 8 parlando del Figlio dice: «Il tuo trono, o Dio, dura di secolo in secolo, e lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia."

Insomma chi si ostina ad inserire Gesù nella natura angelica creata, non ha proprio capito nulla di quello che lo scrittore di Ebrei scrisse, è evidente infatti la distinzione tra Figlio di Dio e angelo di Dio: il Figlio crea gli angeli e questi lo adorano, egli è Dio, loro sono sue creature.

Questo versetto è inoltre una rivisitazione di un'altra scrittura inserita nel canone pochi secoli dopo ma redatta nel I secolo a.C., ovvero un passo di Sapienza 7:24-26:

"24 La sapienza è più mobile di ogni moto e per la sua purezza pervade e penetra in ogni cosa. 25 È esalazione della potenza di Dio, effluvio puro della gloria dell'Onnipotente; per questo nulla d'impuro cade su di essa. 26 È irradiazione della luce eterna, specchio tersissimo dell'energia di Dio e immagine della sua bontà."

Chi conosceva queste Scritture (ed a questo punto l'accostamento è più che evidente) non poteva fare altro che accostare Cristo alla sapienza di Dio menzionata nel libro in questione, sapienza già ipostatizzata dallo scrittore di Sapienza e da quello di Proverbi.
La prima parte parla di Cristo come di "irraggiamento della sua gloria" o "splendore della sua gloria", e a questo proposito mi vengono in mente le scritture di Isaia:

"Io sono l’Eterno; tale è il mio nome; e io non darò la mia gloria ad un altro, né la lode che m’appartiene, agli idoli" (Is. 42:8).

Gesù, prima di essere arrestato, nella preghiera che fece al Padre suo disse:

"Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse" (Giov. 17:5); questo lo disse perché egli voleva che il Padre gli restituisse quella gloria di cui Lui, quale Figlio di Dio coeterno col Padre, si era privato per un breve tempo con la kenôsis (svuotamento), lasciando la condizione dell’unica e perfetta natura divina. Ricordiamoci che in quanto Dio è immutabile, egli con la kenôsis non mutò, ma acquisì anche la natura umana aggiungendola a quella divina eterna, di cui si parla in Filippesi: "assumendo la forma di un servo e divenendo simile agli uomini per morire sulla croce annoverato tra i malfattori".
Ecco dunque perché, basandoci su Isaia, dobbiamo affermare d che Cristo non poteva essere "altro" rispetto a YHWH, egli è Dio proprio come lo è suo Padre, "la gloria di Dio rifulge dal volto di Cristo" dice la scrittura.


I TdG usano la scrittura che definisce Cristo "l'esatta immagine di Dio" per far comprendere che una cosa è Dio e un'altra l'immagine... ma non si rendono conto che "l'esatta immagine di Dio" può essere fatta solo da Dio stesso.
Qualunque creatura non potrebbe mai "rappresentare Dio perfettamente", Gesù lo rappresentò perfettamente perché Egli è veramente Dio.
Lo scrittore di Ebrei continua al versetto 10 applicando quello che era proprio di Yahweh nel salmo 102:25 a Cristo stesso: "E ancora: Tu, o Signore, alle origini hai fondato la terra e i cieli sono opere delle tue mani."
Praticamente c'è una identificazione tra Yahweh e Cristo, nel creare l'universo e qui non è solo il mezzo, ma il creatore stesso.
Inoltre il Figlio è talmente potente da tenere nell'essere l'universo stesso, come è scritto anche in Colossesi 1:17:
"Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui."
Una creatura non può certo tenere in esistenza l'universo e tutto ciò che esso contiene, inoltre la scrittura dice che egli è prima non "la prima" di ogni cosa... la differenza dovrebbe saltare agli occhi.

Mi sono sempre chiesto perché si usasse il termine "in lui" parlando della creazione, in che senso "tutto è stato creato in lui"?
Per comprenderlo bisogna tornare al concetto di idea di Dio nel platonismo, che indirettamente fa sentire i suoi echi in tutti gli scrittori di questo periodo: essendo Cristo il Logos o l'ipostasi del pensiero di Dio, nel momento in cui Dio pensa di creare, automaticamente la creazione si viene a trovare nel Figlio, il quale incarna appunto il suo pensiero. Se Egli è il pensiero di Dio (il Logos appunto), allora nel momento in cui Dio pensa di creare, ecco che la creazione si viene a trovare "in Cristo", come scritto in Colossesi, il Padre è il pensante, il Figlio il pensato, e il Figlio possiede in sé tutte le forme archetipe della creazione.

Un'altra prova che portano i TdG per far vedere che Cristo non è Dio, sono le scritture che parlano di Cristo come del mezzo che Dio usava per creare tutte le cose. Ho già risposto con Ebrei 1:10 dove si parla di Cristo non come mezzo ma come creatore, oltre a questo i testimoni dimenticano che anche di Dio padre si parla non solo come creatore ma anche come mezzo:

Ebrei 2:9-10 NRV:

"10 Infatti, per condurre molti figli alla gloria, era giusto che colui, a causa del quale e per mezzo del quale [gr:dia] sono tutte le cose, rendesse perfetto, per via di sofferenze, l'autore della loro salvezza."

oltre a quella scrittura c'è quella di Romani 11:33-36:

"Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie! Infatti,«chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì da riceverne il contraccambio?» Perché da lui ( da Dio) per mezzo di lui (mediante Dio) e per lui (per Dio) sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno"

Sia di Dio padre che di Dio figlio si dice che tutte le cose sono create tramite loro, vediamo dunque Dio presente in queste tre realtà.

Rifletto:
Se in Rom 11,36 le cose furono create per mezzo di Dio e per Dio, ed in Col 1,17 vediamo che le cose furono create per mezzo di Gesù, e per Gesù, non è logico pensare che anche Gesù sia Dio?

Colosessi 1,16
"Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e per lui"

È assurdo pensare che le cose create, fossero create per una creatura! Sarebbe contraddittorio. In verità secondo questa scrittura, le cose furono create per volontà di Dio Padre, tramite Dio figlio, per Dio Figlio.
[Modificato da (Mario70) 08/03/2013 17:32]